Don't call them
"Kamikaze" Leggo su: http://www.rai.it/news/articolonews/0,9217,76045,00.html "Indagine del centro salute mentale di Gaza Il 35% dei bambini palestinesi tra i 12 e i 13 anni dichiara di essere pronto a diventare un martire della causa palestinese. E' quanto risulta da una ricerca choc condotta dal Centro salute mentale di Gaza e pubblicata in anteprima europea sul settimanale 'Vita', magazine del non profit italiano. La situazione nella quale crescono i ragazzini nei territori occupati e' sempre piu' drammatica: il 66,9% di essi ha visto morire qualcuno in scontri armati, l'83,2% ha assistito a sparatorie e omicidi e il 32,7% di essi soffre di stress da trauma. Gli aspiranti kamikaze sono un esercito composto da bambini figli di una popolazione per l'80% composta di poveri, per il 70% di disoccupati e il 21% di loro vive con meno di 2 dollari al giorno. Bambini fin da piccolissimi abituati alla violenza. l'83,2% ha assistito a sparatorie e omicidi, il 66,9% ha visto morire qualcuno in scontri armati, il 32,7% soffre di stress da trauma. A questo si aggiunge l'attivita' di proselitismo di organizzazioni come Hamas, i cui kamikaze adesso sono ritratti anche nelle figurine che i bambini si scambiano negli asili e nelle scuole che il suo 'braccio filantropico' costruisce a Gaza |
Kamikaze
Piloti suicidi giapponesi impiegati nella seconda guerra mondiale dall'ottobre
1944 all'agosto 1945.
La strategia degli attacchi suicidi con aeroplani destinati a schiantarsi sulle
navi statunitensi fu decisa dal viceammiraglio Oonishi Takijirou, comandante del
1° Kokukantai (Prima Flotta Aerea). Nella riunione del 19 ottobre 1944 a
Mabalacat (Filippine), fu stabilita la formazione dello "Shinpuu tokubetsu
kougekitai" (Gruppo speciale d'assalto vento divino).
Il nome kamikaze (vento divino) fu attribuito in ricordo della tempesta, così
chiamata, che nel XIII secolo spazzò via la flotta d'invasione di Kubilai Khan.
La grave decisione fu adottata a causa delle pessime condizioni in cui versavano
le forze nipponiche. Dopo la sconfitta a Leyte (Filippine) e il fallimento
dell'operazione Shou (vittoria), l'inferiorità in mezzi, rifornimenti e uomini
era netta. Ogni attacco aereo era destinato al fallimento, il velivolo sarebbe
stato abbattuto dai caccia avversari o dalla contraerea. Perciò si decise di
continuare a combattere a costo del sacrifico supremo.
Molti piloti accettarono con entusiasmo la scelta di continuare la lotta con
questo mezzo estremo, e tanti furono anche i volontari. Ma non si deve
dimenticare il dramma vissuto in questa scelta identificando erroneamente i
kamikaze come fanatici. L'eroe di guerra Sakai Saburou ci ricorda quanto fosse
tragica questa decisione, e quanto i giapponesi amassero la vita che donavano in
sacrificio:
[...] le antiche parole mi turbinavano nella mente: 'Un samurai deve vivere in modo tale da essere sempre preparato a morire' [Yamamoto Tsunetomo. Hagakure, ndr]. Il codice del samurai tuttavia non prescriveva che un uomo dovesse essere sempre preparato al suicidio. Esisteva un abisso tra il togliersi la vita e l'andare invece in combattimento con l'intenzione di affrontarne i rischi e gli azzardi. In quest'ultimo caso anche la morte può divenire accettabile e non possono esservi rimorsi. [...] Ma come è invece possibile accettare, in brevissimo spazio di tempo, di andare a uccidersi? |
Anche Ivan Morris ci ricorda l'umanità dei piloti kamikaze giapponesi riportando
una lettera di uno di loro:
Pensare agli inganni di cui i cittadini innocenti sono stati vittime da parte di alcuni nostri scaltri politicanti mi lascia un sapore amaro in bocca. Ma accetto di ricevere ordini dall'alto comando e perfino dagli uomini politici, perché credo nello Stato giapponese. Il modo di vita dei giapponesi è veramente bello e io ne sono fiero, come sono fiero della storia e della mitologia giapponese che riflettono la purezza dei nostri antenati e la loro fede nel passato. [...] E' un onore poter offrire la mia vita in difesa di valori così belli e alti. |
Gli attacchi kamikaze furono dal punto di vista militare un fallimento. Infatti
i danni recati al nemico furono limitati e mai decisivi. Ma dal punto di vista
morale essi furono impressionati. Gli americani rimasero stupefatti nel
constatare la determinazione del nemico, e per ovvie ragioni culturali
avvertirono come disumana quella strategia di guerra. Combattere contro un
nemico che non si comprendeva rendeva tutto ciò destabilizzante.
Oggi i nomi dei piloti kamikaze sono conservati nello Yasukuni Jinja, un tempio
shintoista di Tokyo. Le visite al tempio di alcuni premier giapponesi (come
quelle di Nakasone nel 1985 e di Koizumi nel 2001) sono state oggetto di aspre
critiche.
Ma si deve ricordare che i kamikaze sacrificarono le loro vite per il Giappone,
non contro qualcosa e qualcuno, oppure a favore di una classe politica, ma per
l'intero paese. Ecco una poesia di un pilota che ci indica questo spirito di
rigenerazione nazionale:
Basta
con il tuo ottimismo, |
Bibliografia
Inoguchi, Rikihei e Nakajima, Tadashi.
1958. The Divin Wind. United States Naval Institute, Annapolis, Maryland.
Sakai, Saburou.
2001. Samurai! TEA, Milano.
Morris, Ivan. 1983. La nobiltà della sconfitta. Ugo Guanda Editore,
Parma.
Vento divino
Vento divino, in giapponese kamikaze (nell'antichità era anche letto shinpuu), è
il nome dato dai giapponesi alle tempeste che distrussero la flotta cinese
d'invasione di Kubilai Khan nel 1274 e nel 1281. Queste provvidenziali tempeste
diffusero la credenza che il Giappone fosse protetto dagli dei.
Infatti le forze armate della dinastia Yüan erano sovrastanti. La prima flotta
d'invasione era composta da 30.000 soldati e la seconda da 140.000. Non è quindi
sorprendente che si credesse a un intervento degli dei.
L'idea che il Giappone sia il "paese degli dei" è detta shinkoku shisou.
Da ricordare come con orgoglio i giapponesi respinsero gli ambasciatori cinesi
che avevano preceduto i tentativi d'invasione chiedendo la resa. Il governo
degli Houjou ritenne inaccettabili quelle proposte che avrebbero trasformato il
Giappone in un protettorato della Cina e preferirono un conflitto anche se
militarmente svantaggiati.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, l'espressione "vento divino" tornò attuale
per l'impiego dei piloti suicidi. Nel 1944 si costituì lo "Shinpuu tokubetsu
kougekitai" (Gruppo speciale d'assalto vento divino), abbreviato anche come
"Kamikaze tokkoutai" o semplicemente "Tokkoutai".
Bibliografia
Takeshita, Toshiaki. 1996. Il Giappone e la sua civiltà: profilo storico.
Clueb, Bologna.